L'underground della politica

Zizek interviewed in Il Manifesto

ELISABETTA D'ERME

Nato nel 1949 a Lubiana, filosofo e psicoanalista - fondatore della scuola lacaniana slovena e curatore della rivista della scuola lacaniana tedesca "Wo es War" -, Zizek è docente universitario nella capitale slovena e visiting professor di numerosi atenei europei e Usa. Tra i suoi saggi: "Tout ce que vous avez toujours voulu savoir sur Lacan, sans jamais oser le demander a Hitchcock" (Parigi, '88); "Le plus subime des hystériques. Hegel passe" (Parigi, '89); "Pogled s strani" ("Looking Awry", Lubiana '88/Cambridge '91); "The Sublime Object of Ideology" (Londra); "Mehr-Geniessen: Lacan in der Popularkultur" (Vienna); "Grimassen des Realen: Lacan oder die Monströsität des Aktes" (Kln); "How did Marx Invent the Symptom?" in "Mapping Ideology" (Londra); "The Indivisable Remainder: Essays on Scheling and Related Matters" (Londra). Sono di quest'anno, "Die Tücke des Subjekts" e "Die gnadenlose Liebe" (Suhrkamp). In italiano è disponibile, oltre a "Il godimento come fattore politico", "Il grande Altro" (Feltrinelli, '99).

A colloquio con il filosofo e psicoanalista Slavoj Zizek, a partire dal suo ultimo saggio, "Il godimento come fattore politico". Dalla verità contenuta nel Libro di Giobbe al paradigma rovesciato dell'occhio del Grande Fratello

ELISABETTA D'ERME - TRIESTE

Il filosofo e psicoanalista sloveno Slavoj Zizek è stato ospite di un incontro organizzato dalla facoltà di filosofia di Trieste e dalla Scuola europea di psicoanalisi in occasione dei 100 anni dalla nascita di Jaques Lacan. Il convegno è stato preceduto dalla presentazione di uno tra i tanti saggi di Zizek, ora tradotto in italiano: Il godimento come fattore politico appena pubblicato da Raffaello Cortina Editore. Traduzione promossa dal filosofo Pier Aldo Rovatti e realizzata da Damiano Cantone e René Scheu. Per Slavoj Zizek questo è stato il primo incontro ufficiale con la città di Edoardo Weiss. In uno dei suoi libri, Zizek ha citato una lettera che lo psicoanalista triestino scrisse a Freud, suo maestro, sottoponendogli il caso di un suo paziente sloveno. Freud gli rispose di non perdere tempo poiché lo sloveno non valeva neanche la pena d'esser analizzato... A Zizek abbiamo posto alcune domande, a cominciare dal suo libro.

Perché "Il godimento come fattore politico"?

Dobbiamo partire dalla contrapposizione tra "godimento" e "piacere". Per chiarire la differenza utilizzeremo l'esempio di un noto cinegiornale sulla II guerra mondiale. Quello sul famoso discorso di Joseph Goebbels sulla Guerra Totale, tenuto al Palasport di Berlino nel 1943, dopo la sconfitta di Stalingrado. Nel momento culminante del discorso, Goebbels poneva una serie di domande retoriche, che contenevano il messaggio: volete più sofferenza, più rinunce? Per esempio chiedeva: volete che tutti i ristoranti vengano chiusi? volete lavorare 16 ore al giorno? Finché arrivava al quesito finale: volete una guerra totale, più totale di quanto potreste mai immaginare? La risposta fanatica della massa urlante era: Sì! Sì! Questo episodio spiega che il "godimento" è esattamente l'opposto del "piacere". Il godimento è l'eccessivo piacere dato dalla rinuncia, o dallo stesso sacrificio. Cos'ha a che fare tutto questo con la nostra società liberal-permissiva che incita costantemente a godere il più possibile? Dovrebbe farci riflettere sui pericoli del moderno edonismo, che rischia di trasformarsi nel più rigoroso ascetismo. Oggi viene richiesto di godere, ma per poter davvero godere bisogna fare jogging, sottomettersi a una dura dieta, non bere, non fumare o abbandonarsi a eccessi sessuali. L'edonismo vorrebbe confinarci nella società più regolamentata che la storia umana abbia mai conosciuto.
Piacere e dovere sono collegati in modi diversi: il regime totalitario, ad esempio, non ti chiede di fare solo il tuo dovere, ma anche di godere mentre lo compi. Il regime autoritario, invece, non si interessa a cosa pensi, ti ordina semplicemente di fare il tuo dovere. Il sistema totalitario è dunque più esigente. Un esempio ci viene dalla vita quotidiana. Una domenica mattina il padre autoritario dice al figlio: "Che ti piaccia o no andiamo a far visita alla zia." Mentre il padre totalitario postmoderno, più furbo, dirà: "Tu sai quanto ti vuole bene la zia, sta dunque a te scegliere se venire a trovarla o no." In questo modo dice al figlio che non solo deve andare a trovare la zia, ma che deve essere anche contento. E poi c'è l'approccio fondamentalista, apparentemente liberatorio. Penso ai discorsi ascoltati in Bosnia durante la guerra. I fondamentalisti cercavano adepti. Dicevano che chi si fosse unito a loro avrebbe finalmente potuto uccidere, ammazzare, scopare, stuprare in libertà. Come uscire da questo circolo vizioso?

I paesi dell'Europa occidentale guardano con disgusto alle forme di "godimento" dei Balcani. E perché no?

Tutti conosciamo il detto di Lacan secondo il quale l'inconscio è strutturato come un linguaggio. Il mio amico marxista Mladen Dolar ha teorizzato che l'inconscio dell'Europa ha la stessa struttura dei Balcani. La cosiddetta Europa civilizzata si è scontrata nei Balcani con il suo opposto osceno. I Balcani sono l'inconscio più segreto dell'Europa. Da qui nasce la questione da me più volte affrontata: dove cominciano i Balcani. La risposta è sempre la stessa: nel giardino del vicino. Per i serbi iniziano in Albania e così via fino ad arrivare alla perfetta Gran Bretagna per la quale i Balcani sono l'intero continente europeo... Kusturica con Underground lo conferma. Il film non presenta i Balcani, ma la loro immagine fantasmatica, un luogo dove la gente beve, fa sesso, mangia, uccide... è la "fantasia" occidentale dei Balcani. Kusturica soddisfa la richiesta di "primitivismo" dello spettatore occidentale. Atteggiamento che ritroviamo, generalizzato, tra gli stessi serbi, bosniaci e anche sloveni. Anche il nazionalismo serbo sembra uno show teatrale. Il sociologo tedesco Ulrich Beck lo definirebbe "nazionalismo riflessivo". L'occidente "civilizzato" si è ostinato per anni a prendere sul serio la stupida storia delle passioni etniche; mostrandosi così incapace di capire cos'era veramente in atto nei Balcani: un processo politico, un conflitto di potere.

Nel saggio "Ein Plädoyer für die Intoleranz" lei parla di falsa tolleranza del multiculturalismo. Meglio allora essere apertamente intolleranti?

No. Il mio problema con la tolleranza attiene a quel che lascia fuori. Il topico della tolleranza multiculturalista esclude una serie di domande che non vengono più poste. Il multiculturalismo cambia impercettibilmente le questioni, le depoliticizza, trasforma le lotte politiche in problemi di tolleranza culturale. Come dire: siamo razzisti perché non riusciamo a tollerare la diversità degli altri e li odiamo perché non sappiamo confrontarci con la diversità che è dentro di noi. La soluzione multiculturale è quella di intraprendere un "self discovery voyage": questa è depoliticizzazione. Oggi tolleranza equivale al diritto di narrazione. E' una sorta di darwinismo sociale, ogni minoranza - gay, lesbiche... - ha il diritto di raccontare la propria storia, ma la questione della verità resta sospesa. Se reclami il diritto di dire la verità sei accusato di logocentrismo. Mi oppongo a certa etica tollerante e liberale, basata sulla depoliticizzazione. Deploro che il multiculturalismo non riesca ad essere più radicale. Quando capisco se ho buone relazioni con un membro di un altro gruppo etnico? Quando si rompono le barriere. Certo non quando tratto l'altro con rispetto, ma quando iniziamo a raccontarci storielle sporche. La versione standard della tolleranza multiculturalista è segretamente razzista.

In "Il godimento come fattore politico" lei torna a parlare di Bligh - il capitano del Bounty che ritroviamo anche ne "Il grande Altro" (Feltrinelli, 1999) - e del fatale equivoco sul rito dell'attraversamento della linea dell'Equatore: "osceno supplemento superegotico dell'ordine sociale simbolico". Quale rapporto hanno questi moderni riti iniziatici con quelli, ancor oggi segreti, dei misteri dell'antichità?

La sapienza pubblica è sostenuta da osceni riti d'iniziazione. Riti che esistevano anche nell'antichità. E qui arriviamo all'oggetto dei miei studi attuali: tutto questo non vale per la cristianità. Chi parla è un ateo ma, nondimeno, ritengo che la cristianità sia stato il primo movimento religioso veramente emancipatorio, poiché non si basa su alcun sapere iniziatico segreto. Viceversa troviamo questo dualismo nell'ebraismo, dove da una parte c'è la Legge, dall'altra la Kabala. Nella Legge ufficiale il mondo è desessualizzato, nella Kabala ritroviamo la vagina con i suoi fluidi, e l'osceno indicibile ritorna. Rileggendo il Libro di Giobbe mi sono reso conto che è la prima vera critica all'ideologia. Qual è il messaggio che contiene? Giobbe dice: le mie sofferenze sono senza senso. Protesta.

Intende dire che Giobbe si rifiuta di "godere"?

Esatto. Arrivano tre saggi e cercano di convincerlo che, per soffrire tanto, deve aver fatto qualcosa di sbagliato. Ma Giobbe insiste nella difesa della sua dignità, non ha fatto nulla di male. Alla fine, Dio in persona gli darà ragione. Trovo importante che, nella tradizione giudaico-cristiana (la psicoanalisi lo riconferma), la verità finale, definitiva, è il portato di un incontro traumatico. Cosa accade nel giudaismo? Dio appare e dice agli Ebrei: siete il popolo eletto. Loro non sanno perché. Non ci sono ragioni profonde. Lo stesso accade nella psicoanalisi. Ciò che fa male non è da cercare dentro di te, ma nel trauma che hai incontrato. Perciò respingo le tendenze New Age verso un nuovo gnosticismo: scopri il tuo vero essere, analizza il tuo profondo... Nel futuro la battaglia tra la preziosa eredità lasciataci dalla cristianità e questo nuovo gnosticismo, che vuole aprire la via a comunità iniziatiche elitarie, sarà cruciale. Le coordinate democratiche sono realizzabili solo in uno spazio pubblico, senza il "supplemento" di sporchi segreti.

Per alcuni siamo in un'epoca postedipica. Lei indica nel "Fatherless Subject" un soggetto cinico postmoderno che non ha mai sperimentato l'autorità paterna. Con quali conseguenze?

L'eclisse dell'autorità paterna è ancora legata a certa logica superegoica. Nel mondo capitalista il crollo dell'autorità paterna produce personalità narcisiste. Ma sarebbe perverso augurarsi che l'autorità paterna possa essere nuovamente restaurata. Non mi stupisce che i teorici del cyberspazio amino tanto Leibniz, per questo filosofo siamo monadi, ognuno chiuso nel suo universo senza finestre, ma nondimeno ogni monade riflette l'intero universo. Siamo soli, seduti davanti al nostro computer, ma nondimeno siamo parte del w.w.w. il world wide web. Definirei tutto ciò "solipsismo collettivo". Questo spiega certi strani fenomeni come quei siti dove la gente, con una videocamera posta nell'interno della tazza del cesso, mostra addirittura (negli Usa l'accesso è gratuito) il loro modo di defecare. Non si tratta più del vecchio esibizionismo dell'impermeabile aperto a mostrare i genitali. E' la categoria emergente della "shared privacy", la privacy condivisa, che non è pubblica ma neanche privata.
Oggi viviamo un equilibrio molto fragile. Siamo portati a isolarci sempre più, ma siamo anche sempre più esposti allo sguardo degli altri. Questo spiega il fenomeno del tv-show "Il grande fratello". Nei buoni tempi andati del Grande Fratello si temeva lo sguardo, oggi temiamo che egli non voglia guardarci. Tutti i fenomeni di cui parliamo segnalano che, in questa tarda fase del capitalismo, qualcosa è davvero cambiato. Non abbiamo ancora una buona teoria per definire questi cambiamenti. Forse dovremmo addirittura rivedere la tesi n. 11 di Marx, abbiamo cercato di cambiare troppo il mondo. Ora sarebbe opportuno dedicare tutte le nostre forze a tentare di interpretarlo.

POLITICA O QUASI. Zizek, l'ombra del godere

IDA DOMINIJANNI

Di Slavoj Zizek e della sua recente "scoperta" italiana ho già avuto modo di parlare in questa rubrica, quando uscì per Feltrinelli la sua raccolta di saggi Il grande Altro curata da Marco Senaldi. Il godimento come fattore politico, che esce adesso per Cortina a cura di Damiano Cantone e René Scheu, ci rimette a contatto con la problematica e le ossessioni del "gigante di Lubiana", pensatore "di confine" in tutti i sensi, il suo punto di osservazione del presente trovandosi al confine fra Est e Ovest, fra esperimento comunista e globalizzazione liberaldemocratica, fra filosofia e psicoanalisi, fra umanesimo novecentesco e post-umanesimo tecnologico del 2000, fra razionalità e inconscio del testo sociale. Una posizione di confine che obbliga - è questo il messaggio primo di Zizek - a ripensare l'ambito e le categorie del politico contemporaneo, decostruendone lo spazio e la logica tradizionale e i suoi rimossi e aprendola a nuove contaminazioni: con le dinamiche dell'immaginario che supportano la riproduzione del mondo delle merci, con i dispositivi dell'ordine simbolico che supportano l'ordine della legalità, con le difficoltà dell'io che si riflettono nelle tortuose vicende delle identità collettive nell'impatto con la globalizzazione. Meno ampia ed esaustiva della precedente raccolta, Il godimento come fattore politico ha il pregio di un titolo che più direttamente del lacaniano "grande Altro" dice la cosa: dice cioè che i processi politici non sono comprensibili senza l'analisi dei processi mentali - consci e soprattutto inconsci, dicibili e soprattutto indicibili, "normali" e soprattutto perversi - che li sostanziano, e che li radicano nel consenso di massa.

Come fa anche qui accanto nell'intervista con Elisabetta D'Erme, nel libro Zizek esemplifica il ruolo del godimento (qui inteso non come piacere ma come piacere perverso) in politica a partire dai sistemi totalitari, e dal loro paradossale funzionamento sulla base di regole non scritte che, proibendo tacitamente ciò che la legge scritta consente formalmente, costringono ciascuno ad accettare "liberamente" ciò che gli viene in realtà imposto (esempio: "Nell'Urss degli anni 30 e 40 non solo era proibito criticare Stalin, ma forse era ancor più proibito formulare esplicitamente questa proibizione"): un dispositivo a giudizio di Zizek più sottile di quello dei regimi autoritari, laddove annega in una perversa adesione soggettiva agli imperativi del sistema quel conflitto fra legge e trasgressione che l'autoritarismo lascia almeno aperto. In questo come nel precedente libro di Zizek, tuttavia, gli stimoli principali non vengono tanto dalla lettura del passato bipolare quanto da quella, altrettanto spietata, del presente globale. Vaccinato contro la "fascinazione democratica" dalla vicenda dei Balcani post-socialisti, Zizek ha scritto più volte che la vera domanda che oggi si pone alla filosofia politica è se la forma attuale della democrazia, e del matrimonio fra democrazia e capitalismo, costituisca l'ultimo orizzonte della nostra esistenza o se la si possa mettere in discussione; e in questi saggi sul godimento propone a questo fine due utili esercizi.
Il primo riguarda la critica del mercato globale, e di quel feticismo delle merci che sempre più appare l'unica modalità di soddisfazione del desiderio nel mondo unificato dalla produzione e dal consumo. Tornando a Marx - a un Marx sgravato da alcune ingenuità utopistiche - Zizek aggiorna la critica dell'economia politica con la critica, potremmo dire, dell'economia simbolica che sorregge il funzionamento del mercato, aggiungendo all'analisi del pluvalore quella del "plus-godere" (il meccanismo per cui "più bevi coca cola più hai sete, più profitto ottieni più ne vuoi, più compri più devi spendere"), che adatta e conforma la personalità narcisista contemporanea (più maschile che femminile, sottolinea Zizek) agli imperativi del capitale. Il secondo esercizio riguarda l'analisi del cyberspazio, figura realizzata di un'idea di libertà ridotta a chance, nella quale Zizek rintraccia invece la perversa illusione di una interattività priva dell'attrito del sé con l'altro, e di una ripetibilità priva dell'ostacolo della finitezza. Due esercizi che mirano al cuore.

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